Bar Trilussa

Trilussa (1871-1950)

Biografia

Carlo Alberto Camillo Salustri nacque a Roma il 26 ottobre 1871 da Vincenzo, cameriere originario di Albano Laziale, e Carlotta Poldi, sarta bolognese. Secondogenito dei Salustri, venne battezzato il 31 ottobre nella chiesa di San Giacomo in Augusta, con l'aggiunta di un quarto nome, Mariano. Nel 1874, dopo la morte del padre e della sorella, si trasferì con la madre presso il palazzo del marchese Ermenegildo Del Cinque, padrino di Carlo. Probabilmente è alla figura del marchese Del Cinque che Trilussa dovrà la conoscenza di Filippo Chiappini, poeta romanesco seguace del Belli. A causa della sua negligenza e dello scarso impegno, lasciò la scuola all'età di 15 anni, già un anno dopo presentò a Giggi Zanazzo, poeta dialettale direttore del Rugantino, un suo componimento chiedendone la pubblicazione. Il sonetto di ispirazione belliana, intitolato L'invenzione della stampa, partendo dall'invenzione di Johann Gutenberg, sfociava, nelle terzine finali, in una critica alla stampa contemporanea. Zanazzo accettò di pubblicare il sonetto, che apparse nell'edizione del 30 ottobre 1887 firmato in calce con lo pseudonimo Trilussa. Da questa prima pubblicazione iniziò una assidua collaborazione con il periodico romano, grazie anche al sostegno e all'incitamento di Edoardo Perino, editore del Rugantino, che porterà il giovane Trilussa a pubblicare, tra il 1887 e il 1889, cinquanta poesie e quarantuno prose. Tra le tante poesie stampate tra le pagine del Rugantino, riscossero un successo clamoroso le Stelle de Roma, una serie di circa trenta madrigali che omaggiavano alcune delle più belle fanciulle di Roma. Dopo la pubblicazione della sua prima opera, le collaborazioni con il Rugantino diminuirono di frequenza; tuttavia Trilussa rimase fortemente legato all'editore Perino, con cui pubblicò, nel 1890, l'almanacco Er Mago de Bborgo: Lunario pe' 'r 1890, l'esperienza del lunario venne ripetuta anche l'anno successivo con Er Mago de Bborgo. Lunario pe' 'r 1891: questa volta i testi sono tutti di Trilussa, senza la collaborazione di Francesco Sabatini. Nel frattempo il poeta romano collaborò con vari periodici, pubblicando poesie e prose su Il Ficcanaso. Almanacco popolare con caricature per l'anno 1890, Il Cicerone e La Frusta. Ma la collaborazione più importante per Trilussa giunse nel 1891, quando iniziò a scrivere per il Don Chisciotte della Mancia, un quotidiano di diffusione nazionale. Sulla scia del successo iniziò a frequentare i "salotti" nel ruolo di poeta-commentatore del fatto del giorno. Durante il Ventennio evitò di prendere la tessera del Partito fascista, ma preferì definirsi un non fascista piuttosto che un antifascista. Pur facendo satira politica, i suoi rapporti con il regime furono sempre sereni e improntati a reciproco rispetto. Nel 1922 la Arnoldo Mondadori Editore iniziò la pubblicazione di tutte le raccolte. Sempre nel 1922 lo scrittore entra in Arcadia con lo pseudonimo di Tibrindo Plateo, che fu anche quello del Belli. Fu padrino di battesimo del giornalista e radiocronista sportivo Sandro Ciotti. Il Presidente della Repubblica Luigi Einaudi nominò Trilussa senatore a vita il primo dicembre 1950, venti giorni prima che morisse. Morì il 21 dicembre, lo stesso giorno di Giuseppe Gioachino Belli, altro poeta romanesco, e di Giovanni Boccaccio. È sepolto nello storico Cimitero del Verano in Roma, dietro il muro del Pincetto sulla rampa carrozzabile, nella seconda curva. Sulla sua tomba in marmo è scolpito un libro, sul quale è incisa la poesia Felicità. Con un linguaggio arguto, appena increspato dal dialetto borghese, Trilussa ha commentato circa cinquant'anni di cronaca romana e italiana, dall'età giolittiana agli anni del fascismo e a quelli del dopoguerra. La corruzione dei politici, il fanatismo dei gerarchi, gli intrallazzi dei potenti sono alcuni dei suoi bersagli preferiti. Ma la satira politica e sociale, condotta d'altronde con un certo scetticismo qualunquistico, non è l'unico motivo ispiratore della poesia trilussiana: frequenti sono i momenti di crepuscolare malinconia, la riflessione sconsolata, qua e là corretta dai guizzi dell'ironia, sugli amori che appassiscono, sulla solitudine che rende amara e vuota la vecchiaia (i modelli sono, in questo caso, Lorenzo Stecchetti e Guido Gozzano). La chiave di accesso e di lettura della satira del Trilussa si trovò nelle favole. Come gli altri favolisti, anche lui insegnò o suggerì, ma la sua morale non fu mai generica e vaga, bensì legata ai commenti, quasi in tempo reale, dei fatti della vita. Non si accontentò della felice trovata finale, perseguì il gusto del divertimento per sé stesso già durante la stesura del testo e, ovviamente, quello del lettore a cui il prodotto veniva indirizzato. Trilussa fu il terzo grande poeta dialettale romano comparso sulla scena dall'Ottocento in poi: se Belli con il suo realismo espressivo prese a piene mani la lingua degli strati più popolari per farla confluire in brevi icastici sonetti, invece Pascarella propose la lingua del popolano dell'Italia Unita che aspira alla cultura e al ceto borghese inserita in un respiro narrativo più ampio. Infine Trilussa ideò un linguaggio ancora più prossimo all'italiano nel tentativo di portare il vernacolo del Belli verso l'alto. Trilussa alla Roma popolana sostituì quella borghese, alla satira storica l'umorismo della cronaca quotidiana.